Alla Ricerca delle Tracce degli Animali
Alla Ricerca delle Tracce degli Animali
Daini, Faine, Gufi… ma purtroppo
le tracce più frequenti che si ritrovano
sono quelle lasciate da noi umani!!!
L’osservazione diretta degli animali selvatici dei nostri ambienti collinari non sempre è possibile a causa del comportamento schivo e delle abitudini di vita notturne o crepuscolari della maggior parte di essi, oppure a causa della rarità di determinate specie. Molto spesso, nel corso delle nostre escursioni, gli unici animali che incontriamo sono gli insetti, le lente salamandre o qualche uccello che immediatamente s’invola sorpreso dal nostro passaggio; la maggior parte degli altri abitanti rimane silenziosa e ben nascosta nelle tane o nei nidi. La presenza degli animali è comunque manifestata dai molti segni lasciati durante le loro attività di spostamento e di ricerca del cibo. L’arte di saper leggere le tracce è molto antica, usata soprattutto dall’uomo cacciatore per scovare le proprie prede; oggi la ricerca di tracce e segni lasciati dagli animali è diventata un’attività piuttosto diffusa, praticata dagli zoologi di campo, ai quali, molto spesso, basta rintracciare un’orma, una fatta o i resti di un pasto per confermare la presenza di specie elusive e poco comuni.
Tutti gli animali hanno uno spazio vitale all’interno del quale conducono tutta o in parte la loro esistenza; osservando gli uccelli siamo portati a credere che nel mondo animale non esistano confini. Eppure questo non corrisponde alla realtà; durante lo svernamento e ancor più nel periodo riproduttivo ogni individuo è padrone solo di un ben delimitato “territorio” del quale conosce perfettamente ogni angolo e dove svolge le normali attività vitali.
I confini di questi territori – chiamati dagli specialisti home-range – ai nostri occhi sono spesso difficili da definire, ma così non è per gli animali che, in modi diversi, secondo la specie, difendono efficacemente dall’intrusione di ospiti non graditi. Il canto degli uccelli ne è un esempio piuttosto classico: è un segnale di avvertimento che i diversi proprietari lanciano al mattino e alla sera da punti ben precisi dei loro territori per avvertire che sono ancora vivi e pronti a difendere le proprietà dalle intrusioni di conspecifici. Molto spesso i territori sono difesi anche dall’intromissione di specie differenti, come nel caso delle cornacchie, pronte a lanciarsi su qualunque uccello della propria taglia o anche più grande, che incautamente sta sorvolando le loro pertinenze. Se gli uccelli usano il canto per comunicare con i propri simili, i mammiferi delimitano i confini dei loro territori con odori secreti da ghiandole speciali oppure con gli escrementi.
Chi possiede un cane maschio sa che gli spruzzi di urina che l’animale lascia sempre negli stessi posti sono dei precisi segnali di marcatura. Gli animali selvatici si comportano allo stesso modo, lasciando ben in vista i loro escrementi, sempre negli stessi posti, come possono essere le grosse pietre affioranti dal suolo, i tronchi caduti oppure le aree sgombre dei sentieri.
Le fatte della volpe sono simili a quelle di un cane di media taglia, a forma di salsicciotto, e sono deposte lungo le stradine di campagna o sui sentieri, in luoghi piuttosto sopraelevati. Secondo quello che ha mangiato, assumono colorazioni differenti: possono essere scure e ricche di peli se il pasto è stato di origine animale, oppure rossastre se la volpe ha ingerito frutti, come quelli delle rose, i fichi d’india, le bacche di corbezzolo, gli acini d’uva oppure le ciliegie, nel qual caso si potranno scovare pure i caratteristici noccioli.
Il tasso, invece, accumula i propri escrementi in speciali latrine, frequentate da tutti i membri del clan, poste in prossimità delle tane, ai bordi dei sentieri o tra le radici di un albero. Gli escrementi si presentano di colore scuro e hanno consistenza molliccia a causa della dieta costituita per lo più da frutti, lombrichi e altri invertebrati a tegumento molle. Lungo i sentieri più riparati nei boschi si possono trovare anche le tipiche fatte della faina, caratteristicamente allungate e ritorte, ad apice appuntito, di colore scuro e con un forte odore di muschio, contenenti peli, penne, parti di insetti oppure resti di frutti, a testimonianza della dieta molto varia di questo mustelide. Più di frequente e un po’ ovunque, persino in prossimità degli abitati, si possono trovare gli escrementi del riccio, lunghi circa 3-4 cm, di forma allungata con un apice appuntito e composti per una buona percentuale da resti chitinosi di insetti.
Tuttavia le tracce più facilmente rintracciabili sono le orme. Queste rimangono impresse nel terreno per molto tempo e le possiamo ricercare soprattutto sul terreno fangoso, oppure lungo i sentieri dopo una nevicata e dalle dimensioni e dalla forma possiamo riconoscere facilmente la specie che le ha lasciate. Sui nostri colli vivono tre specie di ungulati, mammiferi provvisti di zoccoli che lasciano al suolo impronte sempre ben nitide e riconoscibili. Si tratta del daino, del cinghiale e del capriolo.
Dei primi due sui colli vivono da anni popolazioni di chiara origine alloctona, mentre il piccolo e delicato capriolo è arrivato recentemente per conto suo, probabilmente dai vicini Berici oppure attraverso la campagna. Daino e capriolo hanno impronte simili anche se quelle del daino sono più grandi e larghe, con i cuscinetti posteriori che raggiungono la metà dell’orma stessa. Entrambi, quando procedono al passo o al piccolo trotto poggiano gli zoccoli posteriori sull’orma di quelli anteriori così che l’impronta appare sdoppiata.
L’orma del cinghiale è facilmente riconoscibile per i segni lasciati dagli speroni, subito dietro quelli degli zoccoli. Naturalmente per tutti tre questi animali le dimensioni e talvolta anche la forma delle orme dipendono dall’età dell’animale e dal sesso; le femmine gravide, infatti calcano le zampe con maggiore forza e le loro impronte saranno pertanto più profonde e nitide, mentre i giovani lasciano orme piuttosto piccole e ravvicinate tra loro. Tra i carnivori, le impronte della faina sono piuttosto difficili da rinvenire a causa degli ambienti riparati che solitamente frequenta, mentre più comunemente si trovano quelle della volpe e del tasso. Come tutti i canidi selvatici, la volpe si muove sempre in linea retta, posando le zampe posteriori sopra alle anteriori, dando l’impressione di un’impronta singola. Le sue orme possono essere distinte da quelle di un cane per la forma allungata e per avere i polpastrelli e le unghie rivolte in avanti – l’orma del cane è tondeggiante e i polpastrelli e le unghie laterali sono rivolti all’esterno. Il tasso è tipicamente un plantigrado e le sue impronte ricordano quelle di un piccolo orso; i segni lasciati dalle unghie sono molto evidenti così come quelli dei tre cuscinetti della pianta del piede, inoltre a causa dell’andatura dondolante le orme sono leggermente rivolte verso l’interno.
Alcuni mammiferi di grosse dimensioni amano rotolarsi nel fango delle pozzanghere sia per cercare refrigerio nelle torride giornate estive, sia per ricoprirsi di fango e difendersi così dall’attacco di mosche e tafani. Sui nostri colli è soprattutto il cinghiale che ama i bagni di fango, strofinandosi in seguito sui tronchi degli alberi dove rimangono appiccicati oltre a terra e setole anche i secreti di speciali ghiandole odorose, con lo scopo di contrassegnare il territorio. Questi alberi sono facilmente individuabili nel bosco poiché la corteccia è spesso consumata e ricoperta di fango sino a oltre un metro di altezza. Anche i segni della sua attività di ricerca del cibo sono facilmente individuabili e ben lo sanno gli agricoltori: essi consistono in scavi talvolta molto profondi fatti con il robusto grugno, alla ricerca di tuberi, artropodi o nidiate di roditori. Durante i suoi spostamenti nel fitto del bosco, inoltre, il grosso ungulato traccia dei sentieri ben definiti, facilmente riconoscibili sia per le orme impresse sul terreno sia per i lunghi peli provvisti di numerose punte, trattenuti da spine e ramoscelli. Molti uccelli che si nutrono di altri animali non sono in grado di digerire certe parti delle loro prede; tali resti quindi vengono rigurgitati sotto forma di pallottole, chiamate cure o più frequentemente borre. Gli aironi che rilasciano sulle sponde dei corsi d’acqua grosse borre piene di lische di pesci, i corvidi, i rapaci diurni e soprattutto quelli notturni appartengono a queste categoria.
Credo tuttavia che le tracce più frequenti negli ambienti dei Colli Euganei siano quelle lasciate da noi umani: fianchi dei colli devastati dall’estrazione di materiali inerti; tronchi anneriti dal passaggio di incendi sicuramente di origine dolosa; rifiuti abbandonati lungo i sentieri e nei boschi, quasi a voler considerare questi luoghi delle discariche legittime; profonde incisioni sul cotico erboso dei vegri provocate dal continuo passaggio di biciclette e motociclette… Sono questi i segni che più spesso incontriamo, ai quali purtroppo siamo ormai abituati; sono le tracce di un’attività troppo intensa, perpetrata a scapito dell’ambiente naturale da parte di chi pensa di essere il padrone incontrastato del mondo e di poterlo esprimere in qualunque modo.