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Bisato in Tecia e Pasta Fresca

Bisato in Tecia e Pasta Fresca

Siamo alla fine dell’estate, l’estate torrida appena passata ci costringeva a mettere in tavola piatti freschi e veloci da preparare. Ma con l’arrivo di settembre le cucine si riaprono e la voglia di preparare ritorna. Ed allora, parliamo della pasta fresca fatta in casa una trazione che è presente in tutta Italia. La pasta fresca, semplicissimo miscuglio di farina e acqua (oppure uova), è di sicuro una delle colonne portanti dell’alimentazione italiana

Ma cos’è esattamente la pasta fresca?

Una legge del 1967 la definisce come il risultato di una serie di operazioni tecniche applicata a una miscela di farina di grano tenero o semola di grano duro con acqua o altra sostanza più o meno liquida, in particolare le uova. Si definisce “fresca” poiché contiene fino al 30% di umidità. Gli storici dell’alimentazione concordano nel ritenere che una poltiglia di sfarinato e acqua sia alla base dell’alimentazione umana a livello mondiale. Tuttavia, la pasta fresca così come noi la conosciamo (impasto, formatura e bollitura) è nata e si è sviluppata autonomamente lungo due filoni: quello asiatico e quello mediterraneo. Concentrandoci sul nostro versante, la pasta ha preso forma dalla puls, la polenta, che si è dapprima evoluta in gnocco per poi assumere strada facendo le varie forme che oggi conosciamo. Il termine “pasta” potrebbe derivare dal greco πάστα, che indica un impasto di “farina con salsa”. Oltre all’influsso greco-romano, occorre citare il filone arabo: il primo ha infatti dato vita alla lasagna, la pasta in sfoglia, il secondo alla tria, la pasta secca e di forma allungata.
La pasta così come la conosciamo oggi non è nata come cibo popolare bensì come cibo da benestanti: affinché divenisse più accessibile anche alle classi meno abbienti, che si sfamavano a zuppe e polente, c’è voluto tutto il Cinquecento, momento storico in cui cominciano a diffondersi le corporazioni di pastai a Roma, Napoli, Palermo e Milano, dopo le più antiche già createsi a Genova e Savona.
Un altro punto cruciale nella storia della pasta fresca è il passaggio dalla cottura lunga a quella “al dente”: artefice ne fu Giovanni Del Turco, che nel ‘600 consiglia di mantenere la pasta più turgida, tant’è che comincia a diffondersi l’uso della pasta non più come contorno di altri piatti (spesso a base di carne) ma come pietanza vera e propria.
Per quanto riguarda l’impasto, si nota come la pasta fresca a base di farina di grano tenero (triticum aestivum o vulgaris) e uova sia più diffusa al Nord, tenda a calare al centro (dove è alternata a impasti di farina e acqua con la comparsa del grano duro) e quasi scompaia al Sud, dove si predilige un impasto di grano duro (triticum durum) e acqua.
Il motivo è essenzialmente climatico: nel Settentrione si ha una maggior coltivazione di grani teneri mentre nel Meridione il terroir è ideale per la coltivazione del grano duro, che porta con sé la conseguenza di avere meno varietà di pasta fresca a vantaggio della pasta essiccata. Per quanto riguarda il grano tenero, la più indicata per la pasta fresca è certamente la farina di tipo 0, che contiene anche la parte esterna del chicco di grano ed è quindi più proteica e adatta all’assorbimento dei liquidi delle uova. Naturalmente si possono utilizzare anche farine meno raffinate, come le tipo 1, tipo 2 ed integrale, ma si dovrebbe “tagliarle” con una parte di tipo 0 per riequilibrarne le caratteristiche tecniche. Il grano duro è utilizzato per la pasta sotto forma di semola (grana grossa, colore giallo) o semola rimacinata (grana più fine, colore meno intenso). L’impasto che si ottiene, mescolandole con l’acqua, è compatto, duttile e intensamente profumato. La creatività e la disponibilità di prodotti differenti ci porta ormai a utilizzare per la pasta anche altri tipi di farina: dal farro ai legumi, dalle castagne al riso. Le possibilità sono moltissime, ma la regola d’oro

prevede di mescolarle sempre ad una percentuale di farina di grano tenero. Per quanto riguarda il grano tenero, la più indicata per la pasta fresca è certamente la farina di tipo 0, che contiene anche la parte esterna del chicco di grano ed è quindi più proteica e adatta all’assorbimento dei liquidi delle uova. Naturalmente si possono utilizzare anche farine meno raffinate, come le tipo 1, tipo 2 ed integrale, ma si dovrebbe “tagliarle” con una parte di tipo 0 per riequilibrarne le caratteristiche tecniche. Per ottenere un’ottima pasta, oltre a buone farine occorre utilizzare anche ottime uova: il consiglio è quello di scegliere quelle di galline allevate all’aperto. Attenzione: la dicitura “allevate a terra” si riferisce a galline allevate all’interno di capannoni, al chiuso, ma poste a terra anziché in gabbia. All’aperto, invece, significa proprio in libertà, e c’è una bella differenza. Per noi Italiani è “normale” avere un piatto di pasta sulla tavola, soprattutto durante il pranzo, del resto l’amore per la pasta è un sentimento nazionale! Solo due sono le regole fondamenti

Ho deciso di proporvi abbinato alla mia pasta fresca un pesce non comune, l’Anguilla.

L’anguilla è un pesce molto diffuso in Europa lungo i corsi d’acqua e soprattutto nel Mar Mediterraneo e Baltico. Il suo habitat naturale è rappresentato da laghi collinari e di fondovalle, stagni, fiumi di pianura e pedemontani. Rispetto alle sue abitudini è un pesce che ama stare all’oscuro, infatti durante il giorno si nasconde in tane conosciute con il nome di “forami”, buchi scavati nel fondale riconoscibili per via di forellini che si notano in quanto si vede l’acqua penetrare all’interno. La sua attività predatoria e aggressiva inizia con il calare del sole, quando la luce via via va sparendo. Questo è quanto accade nei corsi d’acqua dolce.
Rispetto ai fondali marini, invece, è un pesce in pieno movimento. Si ciba prevalentemente di invertebrati di fondo, vermi, piccoli pesci e loro uova, nonché insetti. Essa ha ottime capacità di adattamento in diversi tipi di ecosistema, e non è particolarmente sensibile a variazioni di temperatura e salinità. Una particolarità di questa specie è nota quando si parla di riproduzione: gli esemplari adulti vanno in mare aperto percorrendo quotidianamente dai 15 ai 40 chilometri, migrando fino al mar dei Sargassi. Qui avviene il ciclo riproduttivo ad una profondità compresa tra i 200 ed i 400 metri. Una volta terminato, i soggetti riproduttori muoiono.
Alla schiusa delle uova, le larve danno inizio ad un percorso inverso che le condurrà alle acque originariamente abitate dai genitori. La pesca dell’anguilla è esercitata attraverso il metodo della pesca a fondo con il verme. Una consuetudine del passato è riconosciuta dalla pesca con il forcone, la fiocina, il tamburello e ovviamente le reti.

ANGUILLA IN PENTOLA  BISATO IN TECIA

Ingredienti per 4 persone

1 kg di anguilla

Vino rosso

Alloro e verdure cotte a vostra scelta

conserva di pomodoro

Sale e pepe q.b.

Preparazione

In una pentola di coccio versare il vino rosso e l`acqua con le verdure finemente tritate e le foglie di alloro; salare e cuocere. Nel frattempo lavare bene le anguille, togliere la testa e la coda, tagliare a pezzi. Disporre i pezzi in ordine nel tegame alternati con le verdure cotte; aggiungere olio, la conserva di pomodoro e il liquido con il vino. Se sono cotte sul focolare, tra la cenere e le “bronse”, la cottura avverrà in circa 45 minuti. Se si usa il forno, cuocere a media temperatura.

Potete usarla come condimento per la pasta fresca o come un semplice e gustoso secondo piatto.La ricetta classica veneta prevede l’utilizzo del pomodoro, ma possiamo sbizzarrirci e preparare, degli spiedini di anguilla da cuocere ai ferri, anguilla in bianco con olive verdi, ravioli ripieni con anguilla e olive taggiasche, spezzatino di anguilla ai piselli, pezzi di anguilla fritta, zuppa d’anguilla e l’immancabile risotto alle anguille.

Erika Zampieri