Franco e Antonia Un Amore Novello
Franco e Antonia,
un Amore “Novello”
Chi passeggiava nell’antico borgo di Arquà Petrarca nel mese di novembre dei primi decenni del 1900 era travolto da uno straordinario profumo che non poteva sentire in nessun altro luogo: l’inebriante fragranza dell’olio novello che si spargeva nell’aria dal pestrin della Famiglia Cardin.
Il frantoio, situato in piazza Petrarca, lavorava da uno a tre mesi l’anno, sempre accerchiato schiere di curiosi stupiti ed incantati, che per quasi cento anni (sino al 2006, data di chiusura) hanno assistito e partecipato alle diverse fasi della molitura delle olive che avveniva a mano, poi, con il passare del tempo, ha conosciuto l’avvento delle moderne tecnologie di lavorazione.
Franco Cardin (nipote del fondatore dell’oleificio) e la moglie Antonia per più di 50 anni hanno gestito l’oleificio di Arquà Petrarca, accogliendo nella loro casa quintali e quintali di olive provenienti dagli uliveti limitrofi, che per geologia del terreno ed esposizione al sole ed al vento trovano in questi pendii collinari il loro sito ideale di crescita.
«Ho cominciato ad aiutare al pestrin che ero piccolissimo, dovevamo tutti fare la nostra parte per aiutare il nonno ed il papà a macinar le olive. Il cavallo pestava ed otto uomini giravano il torchio a fatica giorno e notte. Che lavoro duro era! Ma si stava in compagnia, si imparavano sempre cose nuove e soprattutto si rideva e si mangiava assieme». Franco era curioso di apprendere, faceva domande sul raccolto, sulla varietà di olive.
Scopriva così come tutto dipendeva dagli umori del clima: «Se arrivava la brina quando l’olivo era in fiore, sapevamo immediatamente che il raccolto sarebbe stato decimato, lo stesso valeva con la siccità estiva che esaltava o sminuiva la qualità dell’olio».
Antonia ha accolto da subito la passione del marito, che contribuiva economicamente ai bisogni della famiglia, ma veniva praticata per autentica vocazione.
«Lavoravamo dalle cinque del mattino alle undici di sera, ed io ero impegnata anche in cucina, perché tutti erano attirati dal profumo dell’olio e volevano assaggiare un sardeon condito di novello. Poi arrivavano le scuole, si spiegava ai bambini il funzionamento delle macchine e si offriva un tozzo di pane ben condito. Che gioia vedere i loro sorrisi mentre curiosavano ed assaporavano un gusto mai provato… E non perché lo producevamo noi, ma per il suo sapore davvero unico che non ho più ritrovato».
Il pestrin di Arquà ha conosciuto le mani di quattro generazioni e sino all’ultimo momento in cui è rimasto in funzione ha goduto delle attenzioni e dell’amore di Franco Cardin: «Alla conclusione dell’ultima molitura non cantavo e bevevo con tutti gli altri, ma stretto a mia moglie guardavo con animo triste e pieno di dolore la fine di un amore durato quasi ottant’anni».
Giada Zandonà