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I Colori della Giostra


I Colori della Giostra

Quando è nata la Giostra della Rocca avevo al mio attivo, da qualche anno oramai, pubblicazioni e articoli divulgativi incentrati sulla valorizzazione dell’eredità storico-artistica e paesaggistica monseliciana, senza contare la scoperta, per me seducente, di un diffuso substrato leggendario che aveva nel Monte Ricco e nei suoi abitatori il nucleo generante e gli ultimi testimoni. Ciò che mi colpì subito, fin dai primi vagiti contradaioli, fu il riappropriarsi fulmineo del materiale folclorico accanto alle emergenze storiche più rappresentative, legando il tutto con segni simboli emblemi e personaggi, fornendo così alle varie contrade un originale ‘abito’ distintivo, un apparato ricco e insieme armonico ampliatosi e perfezionatosi nel volgere di tre o quattro edizioni nell’intento, riuscito, di riproporre quei trascorsi medioevali che la Giostra intendeva riesumare e far rivivere sfruttando la ‘commozione’ suscitata dall’intensità spettacolare della corale esibizione.

L’unico aspetto che non ebbe il supporto di un’attenta analisi credo sia stato il vaglio dei colori, adottati da ogni contrada a ornamento del gonfalone e delle divise d’una parte dei giostranti, tamburini o gareggianti che fossero; ci si appellò all’impatto visivo più immediato e percepibile: il cromatismo per contrasto degli abbinamenti, privilegiando il bianco, presente in sei gonfaloni (Ca’ Oddo Carmine Marendole San Cosma San Giacomo Torre), e il rosso in tre (Carmine Monticelli Torre), utilizzando rosa (Ca’ Oddo San Bortolo) nero (Marendole, Monticelli) e verde (San Bortolo San Cosma) due volte e una soltanto azzurro (San Giacomo) blu (San Martino) già lo (San Martino) e oro (Torre). Il loro alternarsi negli stemmi ubbidì a criteri meramente geometrici, con forme quadrate rettangolari romboidali o triangolari, in modo da provocare una gradevole consonanza, facilitando così l’immediato riconoscimento d’ogni singola formazione e conferendo in più quel valore simbolico comunque inerente all’oggetto specifico. Poiché il medioevo si applicò con particolare trasporto nell’attribuire a qualsivoglia entità, naturale (fiume monte fuoco fulmine …) o astratta (forme geometriche numeri idee …), un’accezione simbolica, sovente moltiplicata e finanche contraddittoria, vediamo, esemplificando, quanto può restituirci la Giostra al di là della pratica finalità di ‘invenzioni’ scelte dai contradaioli immaginando qualcosa di piacevole o di pittoresco.

Il simbolo invero ha avuto da sempre una specifica funzione psicologica: produce tuttora stati d’animo e partecipazione, suggerisce senso di appartenenza a un gruppo, a una comunità oppure a un’epoca, tanto che s’è detto che un’epoca e una società senza simboli sono un’epoca e una società morte. Se si vuol fare un calcolo ci si imbatte, per esempio, nel problema della notazione, ossia di come rappresentare in modo succinto i numeri. Il sistema in uso, meravigliosamente semplice, è un’invenzione dell’India antica: esso consente di rappresentare qualsivoglia grandezza fisica utilizzando solo i simboli da o a 9. Il segreto sta nel fatto che le loro posizioni relative danno informazioni sul significato voluto e altrettanto accade, per esempio, con la sequenza delle contrade nella sfilata della Giostra: proclama anche agli eventuali assenti il risultato della disfida a scacchi e il pregresso vincitore del pallio. E ancora: «il simbolo, come un taumaturgo, fa rivivere le stagioni passate, i sentimenti cancellati grazie a quelle immagini evocate da un testimonio assente o scomparso da lungo tempo», mentre un complesso di simboli, suggestivo ed evocatore, vivifica l’immaginazione e smuove la riflessione personale permettendo un dialogo pure con secoli lontani, consapevoli tuttavia che questi simulacri di parole o di forme non potranno mai essere compresi e goduti oggi nella loro integrità come accadeva agli attori primi.

Nell’ambito specifico i colori rappresentano un sistema simbolico piuttosto complesso, riconducibile tuttora all’immaginario culturale d’ogni epoca e a quello personale, formando essi un ‘campo di significato’ che può essere sommariamente riassunto così: i colori rosso, bianco e oro sono i colori della piena luce, del sole, del fuoco vivo, del maschile, della forza virile; i colori giallo, ocra e bruno sono i colori della terra, dell’ombra, del femminile, del cavo generativo del mondo e dell’uomo;

i colori verde, glauco e azzurro chiaro sono i colori del cielo e dell’acqua, dell’accoglienza e delle manifestazioni variabili della vita;


il colore blu-indaco è il colore della notte e del cielo senza luna, dell’abisso acqueo, per cui, in sintesi, si può dire che i colori costituiscono in sé una visibile immediata manifestazione delle forze di vita.
Riferendoci tuttavia e più propriamente ai colori della Giostra, il bianco significa pure o l’assenza o la somma dei colori stessi. Nel mondo romano il candidatus, indossante una tunica bianca, candida, era colui che stava per mutare condizione, per cui adottava un colore di passaggio, come l’alba (albus= bianco) annuncia il dì. Per gli uomini primitivi il bianco si identificava invece con la morte e col lutto e tutti gli spettri i fantasmi, nelle dicerie popolari, sono bianchi o indossano un lenzuolo bianco; ma ci sono pure il biancovestito della prima comunione o l’abito da sposa, il colore della purezza, del giglio candido e profumato, non trascurando il bianco dell’allegrezza perché nei banchetti gli antichi indossavano vesti di questo colore.

Per contrasto il rosso è espressione del fuoco, del sangue; dedicato a Marte, incarna le virtù guerriere ed è pure il simbolo dell’amore ardente, della conquista non solo amorosa. Nell’antica Roma era infatti il colore dei generali della nobiltà dei patrizi, utilizzato in fine dagli imperatori. Steso sugli stemmi, denota, fra le virtù spirituali, l’amore totalizzante verso Dio e il prossimo; fra le virtù mondane, il coraggio e il furore, tracimando quest’ultimo facilmente nella collera, nella crudeltà e finanche nell’omicidio.

Al rosso s’apparenta il rosa, attributo della gioia interiore, sovrappostosi per simbiosi al fiore stesso, simbolo nell’iconografia cristiana delle piaghe di Cristo e della coppa che ne avrebbe raccolto il sangue. Nel lontano passato il Papa, la quarta domenica di quaresima, benediva una rosa d’oro da consegnare alle principesse meritevoli quale segnacolo di potenza spirituale, di resurrezione e immortalità, mentre l’offerta di rose bianche o rosse esterna tuttora un omaggio alla purezza o al trasporto amoroso.

Al bianco e al rosso si oppone decisamente il nero, col suo aspetto freddo, negativo. Colore del lutto senza speranza, della rinuncia alle vanità del mondo, presso le popolazioni preistoriche distingueva a volte le grandi dee-madri, le dee della fecondità, nere in virtù della loro immaginata collocazione sotterranea, ctònia. Nel linguaggio dei blasoni il nero si chiama ‘sabbia’ perché esprime la propria affinità con la terra sterile, indicata per solito col giallo ocra; in realtà nera è nel contempo la terra fertile, ricettacolo delle energie vitali della Natura e, malgrado l’angoscia provocata dalle tenebre, s’usa dire che «la notte porta consiglio», mettendo magari a frutto gli avvertimenti dei sogni cosiddetti premonitori.

Positivo pel comune sentire è al contrario il verde, un colore rassicurante, rinfrescante come la primavera quando si bea dei nuovi germogli; è difatti il colore del regno vegetale rigenerato e i rami verdi hanno simboleggiato universalmente l’immortalità. Verde nel medioevo era altresì la toga dei medici o presunti tali, che curavano utilizzando erbe medicamentose i cui principi attivi, spesso e volentieri, provocavano malesseri o disturbi fisici e psichici persino drammatici, tanto che in quell’epoca il verde divenne il segno esteriore della mancanza di ragione e blasone dei pazzi. Oggi questo particolare significato si è trasferito nel mondo fantascientifico, cosicché i marziani nell’immaginario collettivo sono apparsi subito inevitabilmente verdi, quasi fossero l’inverso minaccioso e mostruoso della nostra umanità.

Altro colore freddo ma puro è l’azzurro, il più profondo e immateriale al punto che una superficie dipinta d’azzurro non è più tale. L’ azzurro e il bianco sono per antonomasia i colori mariani, espressione del distacco da questo mondo, mentre nel linguaggio popolaresco, assai più terragno e materiale, la percezione dell’azzurro è in prevalenza negativa: «Ho una fifa blu si è soliti dire per una paura quasi inesprimibile. Nel sempiterno combattimento tra Cielo e Terra, il bianco e l’azzurro sono stati alleati contro il rosso e il verde, come testimonia l’iconografia cristiana, per esempio nella rappresentazione della lotta tra s. Giorgio e il drago, due ‘personaggi’ che si insinuano seducenti tra le pieghe della Giostra. Vale infatti la pena di ribadire che al martire oriundo della Cappadocia venne dedicata sulla Rocca una cappella, fulcro di quel marginale ‘castello’ forse bizzantino la cui memoria si prolungò fino all’epoca moderna: di lui vantavamo le reliquie corporali con le armi vittoriose ed era considerato, accanto a s. Sabino, uno dei ‘patroni’ insigni del castrum.

Ed ecco il blu, legato presso i greci antichi al dio Giove; anch’esso partecipa della freddezza dell’azzurro, ma con una tonalità più profonda, quella dell’aria e del vuoto. Il blu chiaro evocava l’irrealtà dei sogni diurni, il blu scuro, tendente al nero, l’immagine del sogno notturno. Nella sfera religiosa se per gli egizi era il colore della verità, per i cristiani raffigurava la purezza del sovrannaturale e ha potuto quindi ammantare la Vergine, concedendo al pittore d’infiorarne il mantello per avvicinare alla terrestrità la Madre di Dio.

Intenso e violento oppur accecante e pastoso, il giallo accanto all’oro è il più caldo dei colori, dedicato al Sole divinizzato dal credo pagano, emblema della luce e dei suoi raggi. Era caro per ciò a tutti gli dei, considerato dagli umani di buon augurio, strumento propiziatorio di gioventù e forza; essendo di natura divina, in terra il giallo-oro è diventato l’attributo di re e imperatori, attestante l’origine sacra del loro potere. Il giallo, associato al metallo che lo fa risplendere, è ancora il colore dell’eternità, base del rituale cristiano, degli oggetti più preziosi, come il calice e il ciborio, mentre tra ori e gialli i sacerdoti hanno invocato pei defunti la vita eterna. In campagna il giallo trionfa con l’estate e l’autunno, con le spighe del grano e con la vegetazione che smette a poco a poco l’abito verde, ma tra gli uomini, quando essi rompono i consacrati legami del matrimonio, il giallo s’associa alla gelosia, all’adulterio, e condanna la rottura di un patto, così come l’abito o la stella gialli stigmatizzavano nel medioevo la predicata infamia del ‘deicida’ popolo ebreo, vittima incolpevole d’un irragionevole odio che si protrae purtroppo fino ai nostri giorni.

Roberto Valandro