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Il Cappellaio di Faedo

Il Cappellaio di Faedo

Dal suo laboratorio usciranno copricapo per personaggi eccellenti,
soprattutto musicisti e librettisti che gravitavano nella
sfera teatrale del “Verdi” di Padova.

Il nonno del cappellaio di Faedo lo chiamavano “rumatéra”, Bepi abbreviato di Giuseppe il nome imposto al battesimo, e sul campo si era meritato il soprannome. Appropriato e fiero di esibirlo ad ogni racconto in famiglia e in pubblico.
Fu così che dopo il terremoto del 1775, che distrusse la chiesa parrocchiale di San Pietro in Faedo, nel 1812 la stessa rovinò a causa di una frana. Bépi “rumatéra” aveva portato nel suo cortile di casa gran parte dei detriti e piano piano setacciava ogni cosa nella speranza di trovare qualche pregevole ricordo del passato.
Bepi “rumatéra” della stirpe Callegaro proveniente da Arquà, “téra de poeti” spesso ricordava per la rinomata presenza della tomba e casa di Petrarca, ebbe otto figli. Tra questi il settimo nel 1815. Settimo di nome ma battezzato Pietro, dal titolo della parrocchiale. Accudiva alla campagna con campi, oliveti e vigneti, sulle rive ricavava anche dei rovi per raccogliere formose more, buone per farne gustosissime marmellate. Alternava il lavoro dei campi con il lavoro di ombrellaio. Fabbricava ombrelli con manico di “zizoa” (giuggiola)
Ginetta era la moglie, faceva la sarta, cuciva oltre i vestiti, anche il telo degli ombrelli. Settimo andava a Padova nella stagione invernale per venderli davanti al Santo dove passavano numerosi “foresti”. Era un piccolo introito per mantenere la famiglia nel periodo in cui non vi era lavoro nei campi e il bosco era già “goernà”. Settimo e Ginetta hanno messo al mondo sei figli, tra questi nel 1838, Bépi il cappellaio di Faedo, al battesino Giuseppe Battista.
Anche per lui un nomignolo guadagnato sul campo, Bépi “forma” perché da ragazzino presso un laboratorio di falegnameria situata all’altezza dei tornanti che discendono verso Cinto, aveva imparato a fabbricare le forme a garrota in legno per cappellai artigianali. Bépi “forma” sapeva bene l’arte dell’ombrellaio,  l’aveva appresa da mamma e papà. Ma si inventò un nuovo mestiere. Le forme già sapeva costruirsele, imparerà a costruire cappelli.

Forma a Garrotta di fine ottocento della cappelleria Bacco

Lo affascinava il cilindro e la bombetta. Non ha mai viaggiato se non fino a Este, Monselice e Padova. Un giorno incontrò a Villa Alessi di Faedo, lo storico atestino Gaetano Nuvolato. È la svolta per Bépi Callegaro. Lo racconterà in tarda età da anziano all’amico Antonio Soranzo, pittore di Monselice, cognato del più famoso Silvio Travaglia.
Lo farà incontrare a Monselice nella bottega di “casoin” di Carlo Travaglia. Questi amico di Bacco, cappellaio in Montagnana e di Zin cappellai in Padova lo raccomandò per imparare il mestiere.

Ritratto di Carlo Travaglia
Così dal 1870 Bépi abbandona la produzione degli ombrelli e si dedica unicamente alla fabbrica di cappelli. Prese ben presto il nuovo sopranno di “Cappellaio di Faedo”. Dal suo laboratorio usciranno copricapo per personaggi eccellenti, soprattutto musicisti e librettisti che gravitavano nella sfera teatrale del “Verdi” di Padova.
Tale era la sua maestria, che ci fu un sicuro passaparola. Scrive lo scrittore Giovanni  Soranzo classe 1905, figlio di Antonio, in uno scritto che mi ha dato personalmente nel 2005, unitamente al racconto verbale della vicenda qui raccontata: «due volte la settimana il cappellaio Bépi scendeva da Faedo e dedicava una giornata a Padova per incontrare al Pedrocchi e altrove i suoi clienti che chiamava “belle teste”. Prendeva le misure e faceva le forme, provava e riprovava, finché non era convinto del lavoro finito.

Arrigo Boito e Giuseppe Giacosa - Colli Euganei

Così tutto l’anno – salvo qualche volta d’inverno per il troppo vento che tirava a Faedo e non gli veniva nemmeno di bardare cavallo e calesse per raggiungere la Città. Tra coloro che portavano la bombetta di Bépi Callegaro ci fu il librettista e musicista Arrigo Boito, della cui unicità ne andava fiero». Bépi cappellaio morì nel 1912, e Giovanni Soranzo assicura che al suo funerale, al quale partecipò, ci fosse il prete con in testa la bombetta regalatagli da Bépi. Così fu che il parroco di Faedo accompagnò il cappellaio al cimitero con la bombetta in testa, in sostituzione del canonico tricorno. Onore al merito!

Giovanni Soranzo con Riccardo Ghidotti - Colli Euganei

Riccardo Ghidotti