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Il Rituale del Maiale

Maiale

Il Rituale del Maiale

Nella civiltà contadina euganea per molto tempo il maiale è stato considerato una risorsa alimentare importantissima… era la dispensa per l’inverno! Sino al ‘900 “fare su el porseo” era un privilegio di pochi, la carne di maiale era destinata alle classi più abbienti, mentre i meno agiati ed i contadini (la maggioranza della popolazione colligiana) dovevano accontentarsi dei fagioli, la cosiddetta “carne dei poveri”. Dagli anni ’20 in poi le abitudini cambiano, l’allevamento e la cura del maiale in corte diventano quasi un “obbligo”. 

Avere un “porco” era una sicurezza ed una garanzia, un’autosufficienza alimentare, una tradizione volta alla sopravvivenza di tutta la famiglia nel gracile mondo rurale di allora. L’allevamento casalingo rappresentava un nuovo modo di vivere la “corte” di casa, alla sua cura e crescita si dedicavano tutti i membri della famiglia. I bambini e le donne erano incaricati di nutrirlo, compito non certo difficile, dato che l’animale si accontentava di gustare gli avanzi agricoli ed alimentari della corte.

Il capofamiglia invece controllava puntualmente la grassezza del “porco” perché il suo peso e la rendita delle sue carni sarebbero state una sicura alternativa ai momenti di carestia dei mesi invernali. Dopo mesi di cure che si protraevano dalla primavera a dicembre gennaio, arrivava l’ora di uccidere l’animale. Questo era il momento più atteso e veniva considerato come un rituale dai ritmi e tempi ben scanditi. La mattina dell’evento si coinvolgevano amici e parenti, sia perché c’era bisogno di braccia poderose per la lavorazione, sia per trasformare il rito della morte in una festa di aggregazione sociale.

Macellazione del maiale

Le donne erano impegnate a preparare gli ingredienti e l’acqua calda per la lavorazione delle carni mentre i bambini osservavano curiosi o impauriti la lama del coltello che trafiggeva la gola dell’animale di cui si erano presi cura durante l’estate. Per i più piccoli infatti questo era uno dei tanti momenti cruenti a cui erano chiamati ad assistere per “farsi le ossa”. Gli uomini, sotto la direzione del “norcino” o dello specialista nella macellazione, eseguivano accuratamente tutti i passaggi necessari per dividere le parti dell’animale, destinate a diversi usi e consumi. 

Macellazione del maiale

Non dobbiamo certo pensare che del maiale venissero mangiate le parti che gustiamo al giorno d’oggi… ricordiamoci infatti che “del maiale non si butta via niente”. Subito dopo la macellazione venivano consumati i sanguinacci (il sangue cotto), venivano lavati gli intestini dell’animale, la vescica veniva messa da parte per riempirla di lardo successivamente, venivano estratte le interiora, poi in successione venivano preparate le ossa, le “sisoe”, i cotechini, le salsicce e la soppressa.

Alla fine della giornata si teneva una grande festa in cui si gustavano in compagnia alcune parti del suino annaffiate da buon vino o dal “vin picolo” prodotto in casa. Il momento della baldoria serviva per saldare i legami sociali tra parenti ed amici e per continuare a portare avanti la tradizione arcaica del “rito sacrificale”, quella tradizione che è storia, cultura popolare, patrimonio della nostra euganea terra.