La Macchia Mediterranea
La Macchia Mediterranea
Per inquadrare la vegetazione forestale si adotta (come previsto dalla normativa dei piani di riordino forestale) il sistema delle tipologie forestali la cui nomenclatura è redatta dalla Regione di competenza. Questa classificazione prevede l’assegnazione del “nome” (tipologia) del bosco rispetto alla vegetazione presente. Si tratta di schemi di classificazione con significato applicativo e quindi più semplificati rispetto alle definizioni fitosociologiche della vegetazione e risultano utili dal punto di vista della gestione.
Macchie ericeti ed altri arbusteti: cosa sono?
Si tratta di formazioni arbustive, in particolare la macchia è uno dei principali ecosistemi mediterranei. Si tratta di una formazione vegetale costituita tipicamente da un insieme intricato di arbusti di specie sclerofille, cioè con foglie persistenti poco ampie, coriacee e lucide, di altezza media variabile dai 50 cm ai 4 metri. Da qui il detto “darsi alla macchia” con l’accezione “nascondersi dalla società” oppure “condurre un’esistenza clandestina”. Tuffandosi dentro la macchia, infatti, ci si immerge in un mare verde cangiante chiuso sopra le nostre teste e che ci avvolge completamente. Queste formazioni si riscontano laddove gli interventi diretti o indiretti dell’uomo (disturbi) o gli incendi, i tagli ed i pascoli impediscano la naturale evoluzione del bosco bloccandola in questa sorta di “limbo” chiamato macchia. Oltre ai disturbi occasionali ma ripetuti, il territorio ricoperto da queste tipologie presenta una moltitudine di fattori limitanti: in primis la scarsità d’acqua, ma anche i venti, le alte temperature estive o la poca profondità del suolo. Per far fronte a queste ostilità, le varie specie si sono evolute in una serie di adattamenti fisiologici. Gli adattamenti utili a resistere alle carenze idriche, soprattutto nella stagione secca riguardano la precoce ripresa vegetativa, la stasi o diminuzione dell’attività durante la stagione secca, le foglie sempreverdi, le foglie coriacee e protette da cere. Per quanto riguarda gli adattamenti atti a reagire dopo il passaggio del fuoco troviamo ad esempio la spiccata capacità pollonifera, l’abbondante fruttificazione e la sopravvivenza anche allo stato cespuglioso. Per dissuadere il pascolo e limitare i danni, gli adattamenti possono prevedere la presenza di spine, di tannini, di foglie amare o di oli essenziali. Si possono definire dei sottogruppi: potremmo parlare di “macchia alta” laddove le condizioni sono migliori e gli arbusti arrivano ad un’altezza di 4-6 m (simile al bosco vero e proprio); la “macchia bassa” in condizioni non favorevoli con arbusti non più alti di 2 m; la “gariga” laddove i fattori limitanti non consentono la crescita ad altezze superiori a 0,5 m e rappresenta la macchia più degradata.
La vegetazione tipica
È una distesa di verde cangiante che ricopre i pendii collinari presso il mare e che in primavera si arricchisce delle fioriture gialle delle ginestre (Genista spp.), di quelle bianche o rosa dei cisti (Cistus spp.) o di quelle azzurre del rosmarino (Rosmarinus officinalis) o del camedrio femmina (Teucrium fruticans). Solo avvicinandosi si constata il fitto intreccio di cespugli che la costituisce. Essi sono formati da leccio (Quercus ilex), corbezzolo (Arbutus unedo), alaterno (Rhamnus alaternus), lillatro (Phillyrea latifolia), lentaggine (Viburnum tinus), una caprifoliacea sempreverde, erica arborea (Erica arborea), erica scoparia (Erica scoparia), ginepro rosso (Juniperus oxycedrus), quercia da sughero (Quercus suber). Spesso nella macchia sono presenti una serie di arbusti più bassi come il pungitopo (Ruscus aculeatus) o l’edera (Hedera helix), o un intreccio di liane quali l’asparago (Asparagus acutifolius), la robbia (Rubia peregrina), il caprifoglio mediterraneo (Lonicera implexa), la strappabraghe (Smilax aspera) e la rosa (Rosa sempervirens), che rendono la macchia quasi impenetrabile a causa delle loro spine. Nelle situazioni più fresche si possono riscontrare anche l’alloro (Laurus nobilis), l’orniello (Fraxinus ornus), il terebinto (Pistacia terebinthus), mentre in quelle più calde compaiono erica multiflora (Erica multiflora), euforbia arborea (Euphorbia dendroides), ginepro fenicio (Juniperus phoenicea), ginepro coccolone (Juniperus oxycedrus ssp. macrocarpa) che colonizza le dune sabbiose, mirto (Myrtus communis), oleastro (Olea europaea var. sylvestris), carrubo (Ceratonia siliqua), le querce spinose (Quercus coccifera e Q. calliprinos), fillirea a foglie strette (Phillyrea angustifolia), lentisco (Pistacia lentiscus), barba di giove (Anthyllis barbajovis) e palma nana (Chamaerops humilis) unica specie di palma spontanea in Italia. Localmente possono predominare le ginestre, piccoli arbusti dai fiori gialli, come la ginestra spinosa (Calicotome spinosa), la ginestra villosa (Calicotome villosa e C. infesta), il citiso trifloro (Cytisus villosus), il citiso peloso (Chamaecytisus hirsutus), la ginestra dei carbonai (Cytisus scoparius) e la ginestra di Spagna (Spartium junceum), mentre, dove gli incendi sono frequenti, abbiamo abbondanza di cisti rosa (Cistus albidus e C. creticus), cisto femmina (Cistus salvifolius) e cisto di Montpellier (Cistus monspeliensis).
Dove si trova?
La macchia mediterranea, il nome lo dice, è tipica delle terre che si affacciano sul Mar Mediterraneo, oltre che sull’Atlantico, in Marocco e nella parte atlantica della Penisola iberica meridionale. Ricopre appena il 2% della superficie delle terre emerse, ma ospita oltre il 20% delle specie del pianeta rappresentando una riserva di biodiversità nel mondo. In Italia è presente in Abruzzo, Campania, Emilia Romagna, Lazio, Marche, Puglia, Sardegna, Sicilia, Toscana, Veneto. Nella nostra Regione è presente con notevoli estensioni lungo la costa (Rosolina Mare) e sui Colli Euganei. La Macchia sui Colli Euganei Sono le formazioni tipiche dei versanti acclivi esposti a sud su terreni silicei e poco profondi (5 – 10 cm) che presentano una marcata acidità dimostrata dalla presenza di specie acidofile (Cistus salvifolius e Pteridium aquilinum). Questa tipologia occupa una superficie di circa 200 ettari presenti a macchia di leopardo. In realtà in quest’area sarebbe più corretto parlare di “pseudomacchia” in quanto presenta un generale impoverimento degli elementi più mediterranei quali Viburno tinus, Pistacia lentiscus, Myrtus communis, Phillyrea sp. ed altre. Si possono considerare dei relitti paleoglaciali giunti sino ai giorni nostri grazie ad un microclima favorevole. L’ericeto, invece, presenta una quantità paritaria di corbezzolo (Arbutus unedo) ed erica (Erica arborea). In questi ambienti si può riscontrare un’imprevista presenza botanica: il fico d’India nano (Opuntia compressa). Questo cactus in miniatura è originario degli altopiani rocciosi dell’America centrale e si è naturalizzato in alcune stazioni particolarmente assolate sul Monte Ceva, sulla Rocca di Monselice e sul Monte della Madonna. Generalmente entrambe le formazioni rappresentano il piano dominato del più tipico bosco di roverella (Quercus pubescens) o, dove il clima è più fresco sfuma verso il bosco di castagno (Castanea sativa).
Funzionamento e gestione
Come abbiamo visto pocanzi queste formazioni sono limitate dalle difficili condizioni ambientali, pertanto le occasioni di rinnovamento sono legate agli incendi frequenti ai quali reagiscono con l’emissione di numerosissimi polloni. Un tempo la macchia era governata a ceduo con tagli ogni 10-20 anni ed il legname era utilizzato per la produzione del carbone o come legna da ardere. Questi ambienti forniscono anche un’innumerevole serie di prodotti non legnosi come la radica per le pipe, ottenuta dall’erica arborea, i frutti eduli del corbezzolo (mangiati con moderazione), gli oli essenziali estratti dalle varie specie, i mieli, le scope di saggina ricavate dai rami dell’erica… Le crescenti attività di ripristino delle aree degradate da incendi ed erosione (ad esempio le dune costiere) stanno sempre più favorendo queste formazioni.
Il Cistus Salvifolius e Cytinus Hypocistis
Il Cistus salviifolius L. comunemente chiamato Cisto femmina appartiene alla famiglia delle Cistaceae ed è un arbusto sempreverde alto 30-60 cm, con odore erbaceo. Le foglie sono opposte, brevemente picciolate (2-4 mm), rugoso-reticolate a nervatura pennata, verde-grigie con abbondanti peli stellati. I fiori, che compaiono tra aprile e maggio, sono ermafroditi, solitari, penduli prima dell’antesi, disposti su lunghi peduncoli (3-10 cm).
La specie è presente in quasi tutto il territorio ed è il cisto più diffuso in Italia, raggiungendo anche il nord dove è localizzato e sporadico, ma abbondante sui substrati vulcanici nei Colli Euganei. Il nome del genere deriva dal greco ‘kìst(h)os’, capsula, cesta, con probabile allusione alla forma e consistenza coriacea del frutto e veniva utilizzato come incenso. L’epiteto specifico deriva dal latino ‘salviifolius’ con riferimento alle foglie rugose simili a quelle della salvia.
La germogliazione dei semi in luoghi che hanno subito il passaggio del fuoco è 10 volte superiore a quella dei semi in condizioni normali, questo perché sembra che il fuoco agevoli la rottura del duro tessuto legnoso protettivo. Sotto il Cisto a foglie di salvia si può trovare un’altra specie: l’Ipocisto (Cytinus hypocistis). È una piccola pianta perenne che, non potendo compiere la fotosintesi, vive da parassita sulle radici di specie di Cistaceae da dove ricava i nutrienti. Alta pochi centimetri, ha foglie squamiformi rosso vivo che racchiudono, a maggio, dei fiori color giallo oro da cui si sviluppa una piccola bacca ricca di semi.
Filippo Rossato