La Tavola delle Feste
La Tavola delle Feste
Ricette, Curiosità e Tradizioni del Natale Veneto e nel Mondo!
Natale è una festa molto importante e solenne per tutto il mondo Cristiano poiché ricorda la nascita di Gesù a Betlemme. In tutto l’occidente accanto ai riti religiosi, la tradizione vuole che ogni famiglia si riunisca attorno ad una tavola in casa o al ristorante e si pranzi tutti insieme con una serie di portate ricche ed abbondanti. Mi piace sottolineare che il Veneto ha saputo conservare dei piatti che possono essere considerati storici, essendo presenti da secoli nelle case, pur variando in base all’area geografica della regione. Samuele Romanin, autore di “Storia documentata di Venezia” (10 volumi, 1853-1861), scrive che fin dai tempi più remoti, a Venezia “il popolo aveva certi cibi in giorni segnalati, come le anguille, il salmone, i cavoli crespi, la mostarda, il mandorlato alla sera della Vigilia di Natale”. Dai tempi della presenza austriaca (1816-1866), tra il Congresso di Vienna e la Terza Guerra d’Indipendenza, i veneti hanno fatto proprio anche il piatto natalizio degli occupanti, vale a dire la tacchinella arrosta (in Austria era accompagnata dalle castagne). Attualmente, c’è chi predilige il cappone, che tuttavia non è sempre reperibile, e chi la tacchinella, più facile da trovare (ecco uno dei tanti apporti esterni assimilato dai veneti). Ci sono ristoranti che servono entrambe le carni citate, dapprima il cappone bollito e poi la tacchinella al forno, unendo nel pranzo di Natale, magari inconsapevolmente, due tradizioni: la veneziana e la viennese. A concludere il pranzo di Natale in passato c’era la pinza, il pane dolce di Natale, poi relegato all’Epifania con l’avvento del panettone milanese. Nel veronese invece da tempi lontani c’è il Nadalin e, dalla fine del’800, il Pandoro, ormai presente ovunque. Non manca in nessun luogo il mandorlato, ricordato da Elio Zorzi, e a Cologna Veneta (nel veronese) si producono mandorlati veramente ottimi. Può la tradizione insegnarci qualcosa per preparare in modo corretto la cena della Vigilia e il pranzo di Natale? Credo proprio di sì. La cena della Vigilia, in quelle ultime ore d’attesa della nascita del Bambino di Betlemme, resta di magro, penitenziale e, oltre all’anguilla c’è il baccalà, introdotto nel Veneto nella seconda metà del ‘500 dai mercanti veneziani proprio per assolvere al dovere dell’astinenza dalle carni, o ancora la soda bosega di valle, ricordata da Zorzi in “Osterie veneziane” (1928). Ma ci sono famiglie che anticipano alla sera della Vigilia il pranzo di Natale, anche questa antica tradizione veneta. Veniamo al pranzo del 25 dicembre: il primo piatto può essere anche una minestra di riso o risi in brodo coi fegatini, e qui entra in gioco la fantasia e la bravura delle donne venete che possono giocare a piacimento con gli abbinamenti.
E chi desidera un unico primo piatto proprio durante il pranzo di Natale?
Ecco allora che arriva il pasticcio, preparato come da tradizione con ragù di carne e besciamella oppure nelle mille varianti che le massaie sanno assolutamente inventare.
Il “secondo” primo piatto normalmente sono i tortellini in brodo, fatto assolutamente con il cappone. Anche i secondi piatti non sono da meno, si comincia con i bolliti, per finire con gli arrosti. Immancabili poi i dolci dal panettone al pandoro, classici o farciti in molti modi diversi.
A casa mia il Natale resta fedele alla tradizione, ecco le mie ricette euganee!
Pasticcio (in tutta Italia viene chiamato “lasagna al forno”) classico con ragù e besciamella. La storia delle lasagne affonda le sue radici in un lontano passato, più precisamente nell’antichità greco-romana.
La prima ricetta giunta fino a noi in cui si utilizzano queste sfoglie è testimoniata da Marco Gavio Apicio che, nel suo De re coquinaria (30 d.C. circa), ci fornisce indicazioni dettagliate sul procedimento da utilizzare per realizzare la Patinam Apicianam, per definizione un pasticcio, ma in realtà molto somigliante nella forma alle nostre moderne lasagne, poichè costituito dall’alternanza di strati di sfoglia e strati di ripieno.
La ricetta prevede poi di alternare in una pentola strati di sfoglia (laganum) a mestolate di sugo, avendo cura di terminare con una sfoglia, che andrà cosparsa di pepe, per poi cuocere il tutto in forno.
In epoca romana, quindi, la lagana cuoceva in forno insieme al suo condimento (che fungeva da liquido di cottura), nel Medioevo invece si assiste ad un cambiamento fondamentale nel metodo di cottura, poiché da questo momento in poi la pasta viene cotta per bollitura in un liquido, che sia acqua, brodo o, più raramente, latte. Fino ad arrivare ai giorni nostri dove ogni famiglia ha la sua ricetta della nonna, c’è chi fa la pasta in casa verde, c’è chi usa solo la pasta gialla… Il pasticcio, comunque lo si faccia, resta il piatto principe del pranzo di Natale. La mia versione è la più classica dei classici, rigorosamente con la pasta fatta in casa. Il “secondo” primo sono ovviamente i tortellini in brodo rigorosamente di cappone.
E qui si apre il capito sui Lessi e Gran Bolliti.
«Lo sa il popolo e il comune che per ottenere il brodo buono bisogna mettere la carne ad acqua diaccia e far bollire la pentola adagino adagino e che non trabocchi mai. Se poi invece di un buon brodo preferite un buon lesso, allora mettete la carne ad acqua bollente senza tanti riguardi».
In queste poche righe citate sul capitolo de “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” di Pellegrino Artusi, l’essenza della differenza tra Gran Bollito e Lesso. Sul blog “saporiedissaporifood” trovate un approfondimento su Bollito e Lesso.
Non ci dobbiamo dimenticare che nella storia l’aia ha un valore importantissimo per le famiglie che abitavano le campagne in tutta la pianura padana, ma particolarmente in Veneto. È merito delle donne se prende avvio l’allevamento degli animali domestici.
La regina dell’aia era sicuramente la gallina: faceva le uova, alla base di numerose preparazioni culinarie e, in pentola garantiva ottimi brodi e arrosti prelibati.
I galletti ruspanti erano alla base degli spiedi o delle preparazioni alla cacciatora, con funghi freschi. Il cappone era un rito a Natale per il brodo per i cappelletti, i ravioli o ripieno con castagne e altro e poi fatto arrosto. L’anatra era ottima per la preparazione di sughi. L’oca invece, oltre ad essere buonissima arrosto, poteva sostituire tranquillamente il maiale nelle preparazioni tipiche quali il salame, il prosciutto, ecc.
E poi ancora il coniglio arrosto o alla cacciatora. Fino alla metà del Novecento, gli animali da cortile rappresentavano un valore e un simbolo di benessere da una parte e di approvvigionamento naturale dall’altra. Solo intorno al 1950, con la diffusione dell’allevamento in batteria, si riduce il prezzo della carne di tali animali e diventa “cibo di massa”. Ora c’è un ritorno all’animale “di casa” allevato libero. Per questo Natale oltre al misto bollito metterò in tavolo un arrosto diverso dal solito e cioè l’anatra con le ciliegie.