Un Orto Circuito di Civiltà
Un Orto Circuito di Civiltà
«Forse questi momenti di amichevole condivisione del cibo con ogni creatura del Creato somigliano un po’ a quel giardino di Eden che, per peccato di superbia, abbiamo tradito. Allora il castigo fu il dover lavorare la terra per vivere. Oggi, coltivare la terra con una nuova consapevolezza, del reale valore, potrebbe essere il migliore dei progetti per riconquistare un nuovo
Giardino di Eden». (Ermanno Olmi)
Il profumo penetrante dei pomodori maturi, i fiori di zucchine che colorano di oro gli occhi, i piselli che si arrampicano verso il cielo, le lumache affamate che lasciano la loro scia sulle foglie verdi mangiucchiate, la preoccupazione per la grandine in arrivo, la zappa che mette alla prova le nostre braccia, le erbacce che crescono copiose, la fatica di irrigare ogni sera un piccolo drappo di terra euganea e poi lui, il sole, che dona vita ai nostri germogli. Questa è l’immagine del piccolo orto di casa, custodito e curato con amore e dedizione. Ma perché coltivare in casa ortaggi e piante quando si posso tranquillamente comperare?
Produrre autonomamente ciò che serve al nostro fabbisogno alimentare è un sogno condiviso da molti in questi ultimi anni. Una sorta di “risveglio naturale” si sta affermando sempre più nella nostra società e l’orto casalingo è uno dei primi passi verso un rapporto di simbiosi e riscoperta della natura. Mette in contatto con i cicli naturali della vita, avvicina alla conoscenze dei ritmi delle stagioni e delle fasi lunari, fa riscoprire i prodotti locali e gli“umori” del clima, porta a scoprire la magia di un germoglio che spunta dal seme piantato, ci fa conoscere ed apprezzare gli insetti che abitano le nostre case e soprattutto, come ricorda Ermanno Olmi parlando del ritorno alla terra dei giovani, l’orto ci insegna a «coltivare orti di civiltà» perché educa ed insegna, non solo a seminare, ma anche a raccogliere, illustrando il concetto di sostenibilità e dei limiti naturali. Se oggi l’orto è un desiderio sino alla metà del Novecento era necessità, sussistenza, bisogno di sfamarsi.
La storia e l’arte ci hanno lasciato una profonda simbologia legata all’orto, il luogo in cui coltivare e custodire i doni della terra. Nella tradizione cattolica simboleggiava l’Eden, cioè il Giardino delle Delizie, dal medioevo in poi diventa Orto dei Semplici, un fazzoletto di terra dedicato alla coltivazione delle piante curative che venivano chiamate “semplici medicamenti della natura”. Il nome originale dell’Orto Botanico di Padova, istituito nel 1545, era appunto “Giardino dei Semplici”, uno spazio in cui gli studenti potessero imparare a conoscere ed utilizzare le piante medicinali. Attraversando ancora la linea temporale incontriamo i grandi orti coltivati dalle comunità contadine per le maggiori famiglie nobili Padovane e Veneziane e gli importanti orti di monasteri e conventi, che si sono fatti custodi, a loro insaputa, di sementi locali che altrimenti sarebbero scomparsi. Dal secondo dopo guerra la tradizione dell’orto di famiglia, quel piccolo o grande orticello dietro casa curato con amore e dedizione, che faceva piangere e gioire e si dimostrava essenziale per la sussistenza, comincia a scemare e a lasciare spazio all’acquisto inconsapevole di frutta e verdura della grande distribuzione. In questi ultimi 50 anni la maggior parte delle persone ha provveduto al fabbisogno alimentare vegetale senza porsi il problema di dove e come veniva coltivato, lasciando così le porte aperte ad un indiscriminato mercato ortofrutticolo
che non dava alcuna informazione sul prodotto acquistato. L’essere umano però, ha un innato istinto verso la coltivazione della terra, ed una voce arcaica si sta risvegliando negli ultimi anni e piano piano ci sta riportando verso la riscoperta dei ritmi della natura, che sono gli stessi dell’anima umana. Attorno a noi, nell’area dei Colli Euganei, abbiamo degli straordinari esempi di come l’orto diventi un “circuito di civiltà”. Oltre agli orti casalinghi che avvicinano le famiglie alla terra, sono nati alcuni progetti dedicati a chi non ha un drappo di terreno da coltivare.
L’idea alla base è di offrire la possibilità di produrre in proprio gli ortaggi, di norma non destinati alla vendita o comunque senza fine di lucro, attraverso un progetto collettivo in grado di promuovere l’integrazione sociale. Nascono così gli Orti Sociali, spazi sottratti all’urbanizzazione, piccoli appezzamenti di terreno situati in città, in cui chi ne fa richiesta può far crescere i propri ortaggi in un progetto collettivo.
Questi orti hanno una triplice funzione: forniscono cibo autoprodotto, danno una grande soddisfazione personale, creano aggregazione sociale, rafforzano le relazioni sociali e portano bellezza ed armonia nel territorio. Nel circuito euganeo sono molti i comuni, tra cui Monselice, Abano Terme, Montegrotto Terme, Rovolon, ad aver messo a disposizione degli abitanti piccoli e medi appezzamenti di terreno per la produzione di ortaggi senza scopo di lucro. Nel comune di Este invece, a partire dall’autunno del 2015 nel centro di accoglienza migranti, una cooperativa agricola ha promosso il progetto di creazione e cura di un orto biologico presso il centro che ospita ragazzi provenienti da fuori Europa. L’Orto Migrante provvede al sostentamento, forma culturalmente i ragazzi e favorisce l’integrazione, promuove la condivisione dei saperi e sapori del territorio, riqualifica una struttura inutilizzata da anni ed è riuscito a creare un circuito di collaborazione tra i cittadini, le associazioni ed i ragazzi ospitati nel centro di accoglienza.
Esistono nel nostro territorio anche molti Orti Scolastici, cioè realizzati in scuole primarie e secondarie per avvicinare i giovani alla “cultura verde”, ed Orti Associativi, cioè realizzati da associazioni o gruppi di volontariato che producono ortaggi biologici da distribuire tra le famiglie del vicinato. Questi orti, oltre ovviamente a provvedere ad una cultura personale e a riempire la tavola con prodotti sani e naturali, contribuiscono a creare nuovi spazi verdi all’interno delle nostre grigie città. Una sorta di guerrilla gardening consapevole. Un esempio interessante arriva dall’Istituto Tecnico Agrario Kennedy di Monselice, che da molti anni impegna gli studenti nella crescita, cura, produzione e vendita di ortaggi, frutta e fiori. Una bella novità arriva invece da Cervarese Santa Croce, in cui la cooperativa sociale Almaterra sta dando vita ad un Orto Sinergico con biolago e a spazi adibiti ad Orti Sociali condivisi e Orti in Affido. Con l’agricoltura sinergica si escludono tutti gli impatti negativi verso l’ambiente, promuovendo l’autofertilità del terreno, senza arature ed associando le piante a seconda delle esigenze di ciò che si vuole produrre. I tipi di agricoltura illustrati si rifanno tutti al concetto di “coltivare ortaggi e cultura in armonia ed in sinergia con l’ambiente”, spazi verdi in cui non crescono solo ortaggi, ma nuovi modi di pensare e vivere gli spazi urbani.
Mi auguro che questi progetti siano i primi grandi passi verso una nuova era, in cui l’uomo riallaccia i suoi rapporti con la terra, la terra che sporca le mani, la terra che fa crescere semi di speranze, la terra che da sempre ci accoglie e che ha un assoluto bisogno di essere amata e coltivata in un orto circuito di civiltà a cui tutti noi dovremmo partecipare.