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Osvaldo Pasin, l’Abilità è Solo una Parte della Volontà

Osvaldo Pasin

Osvaldo Pasin
L’Abilità è Solo una Parte della Volontà

«Tutto è cominciato per caso sul finire degli anni ‘70 nel reparto di ortopedia di Este dove lavoravo: un ragazzo con un braccio rotto è impegnato a leggere una pila di riviste di montagna… è Francesco Piardi storica guida alpina di Padova. Da questo incontro è nato nel 1981 il 1° corso Roccia della sezione Cai di Este a Rocca Pendice. Eravamo in quattro avventurieri bramosi di imparare le tecniche di arrampicata, l’uso dei materiali, la sicurezza della progressione, per scoprire le meravigliose pareti trachitiche della “palestra di roccia euganea”».
Osvaldo Pasin, Baone classe 1953, Presidente del Cai di Este, per festeggiare i 60 anni di attività del Club Alpino di Este ci racconta l’esperienza e la goliardia della “sua” Rocca Pendice. Una storia che comincia nella primavera del 1978, con due amici, l’immancabile amica, jeans e scarpe da ginnastica: «la prima volta a Rocca Pendice è stata davvero tosta, ci siamo avventurati nella “Delicatina”, una via non particolarmente impegnativa, ma con degli appigli piccolissimi larghi 1 cm… salendo ad un certo punto ho trovato un “buco”, un attacco molto profondo da cui non mi volevo più staccare. Non sembravamo alpinisti… ma  salamandre su per un vetro… l’importante allora era provarci!».
Osvaldo intraprende una “scuola di vita” attraverso l’esperienza dell’arrampicata in cui un senso profondo di libertà è racchiuso nell’affinità tra il superare nella roccia come nella vita le difficoltà che si hanno davanti, per scorgere lo splendore che riserva la cima. «La passione mi ha conquistato e ho cominciato ad arrampicare molto di frequente, Rocca Pendice era la mia palestra, il mio ritrovo con gli amici, il mio solitario rifugio... ogni occasione era buona per organizzarsi, prendere zaini ed attrezzature e salire sulla “cresta”. Arrivati in cima, dopo non poca fatica, si montava la tenda che chiamavamo ironicamente “canile” dato lo spazio e la comodità che offriva, si accendeva un piccolo fuoco, un bicchiere di vino, qualche fetta di salame e poi solo le stelle, la roccia e un profondo senso di quiete e di benessere ci facevano compagnia».
Salire una parete rocciosa significa intraprendere un viaggio, non una conquista, è un pezzetto di vita vissuta assieme alla montagna, alla natura ed agli amici. È scorgere la bellezza nel gesto della mano che afferra la roccia e credere profondamente di riuscire nel tentativo, mentre nessun pensiero ti attraversa ed il corpo è in perfetto equilibrio con la mente. Questa è l’arrampicata, perché «l’abilità è solo una parte dalla volontà, devi crederci, non importa che tu ci riesca, l’importante è provarci!».

Giada Zandonà