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Aspetti e Curiosità di Vita Quotidiana nel Lombardo Veneto

Le tre sorelle dela Padovanabassa di G. Coccato

Aspetti e Curiosità di
Vita Quotidiana nel
Lombardo Veneto (1815 – 1816)
a 150 anni dall’ unione del Veneto all’Italia

Il collezionista, si sa, è un personaggio un po’ strano. Ama assiepare in cassetti, armadi e vetrine quanto la passione per un determinato soggetto gli ha fatto accumulare anno dopo anno. Può capitare, magari all’improvviso, che si disamori, che giunga al punto di odiare ciò che gli ha rubato tempo e denaro, che desideri disfarsene come se ora fosse qualcosa di compromettente. Ed ecco tornare in circolazione, sulle improvvisate bancarelle dei mercatini antiquari, le più incredibili cianfrusaglie, a volte preziose solo agli occhi di chi le sta cercando. Succede così, di tanto in tanto, che riemergano certe “carte”, assimilabili alle moderne circolari burocratico – amministrative, dal sapore tipicamente ottocentesco, come gli “Avvisi” che l’amministrazione austriaca del Lombardo Veneto emetteva a beneficio (?) dei propri sudditi. Molti di questi fogli, (ri)stampati dalle locali tipografie, sono finiti pure negli archivi comunali o parrocchiali, anche se la tendenza, tuttora viva e distruttiva, è stata quella di disfarsene appena possibile. Tuttavia, nonostante l’eterogeneità dei nuclei sopravvissuti, insufficienti a livello municipale volendo delineare un ritratto appena accettabile di quello che è stato il modo di operare dell’apparato statale asburgico, non mancano gli spunti interessanti, i pertugi che si aprono su un quotidiano che né i manuali di storia né l’ormai cancellata memoria orale possono restituirci. Ma vediamoli da vicino alcuni di questi frammenti di cronaca spicciola, riesumati attraverso un linguaggio formalistico e ripetitivo che però, se letto in trasparenza, permette comunque di ricreare atmosfere e situazioni esistenziali che i nostri antenati hanno sperimentato e di cui conserviamo, spesso inconsapevolmente, le tracce mimetizzate nei modi di dire, nella mentalità, nella terminologia o nei gesti che s’accompagnano al dipanarsi dell’umile vissuto d’ogni giorno. La pianura veneto-lombarda, ampia e variegata per chi era cresciuto attorniato dal seghettato profilo delle catene alpine, appariva allora punteggiata da borghi e contrade che avevano quale punto di riferimento le città murate, rimaste sostanzialmente prigioniere, dopo la fioritura comunal-signorile, dei terrapieni bastionati veneziani, qualora non avessero mantenuto più o meno integro il più antico circùito difensivo medievale come le quasi città della Padovanabassa. L’utilizzazione del suolo variava in misura notevole da provincia a provincia, con la punta più alta ad esempio di terreni seminativi (87%) nel Padovano e la massima estensione delle paludi nel Veneziano (25%). Nel 1846, all’epoca della pubblicazione delle “Tariffe d’Estimo”, la superficie agrario-forestale nella VI zona denominata “viticola dell’Adige e Gorzon”, comprendente per l’appunto la Padovanabassa, era costituita per l’88% da seminativi (in cui l’arborato-vitato copriva l’82% del suolo utilizzato), da prati (4%) e da incolti produttivi (8%); per quanto riguardava poi l’ampiezza delle aziende agricole, la stragrande maggioranza non superava i 5 ettari, con ben 1.449 ditte impegnate a coltivare da 0,5 a 2 ettari, mentre la vasta proprietà, superiore a 100 ettari, contava solo 377 aziende. Notevole era poi la varietà di pesi e misure inerenti soprattutto all’agricoltura, un ostacolo che poteva mettere in crisi la rapidità e la trasparenza degli scambi: le libbre grosse e sottili nelle varie aree; la pertica lineare, il passo, il ghebbo, i campi del Veneziano o della Padovana; gli staj, i mastelli (misura di vino), le orne e il conzo. Una burocrazia attenta e severa era impegnata, nella fattispecie, a sorvegliare il commercio dei prodotti, in particolare là dove si riscuotevano i dazi sulle derrate avviate giornalmente nelle città murate per il rifornimento di mercati e botteghe. Ho parlato di severità e una notificazione del 1827 ce lo conferma subito, vietando d’impiegare in uno stesso Ufficio individui che siano fra loro parenti od affini, vale a dire i consanguinei in linea ascendente e discendente, i fratelli ed i figli dei fratelli o di sorelle, i parenti ancora più stretti in linea trasversale, e gli affini nei medesimi gradi. E anche di diligenza, se in Venezia viene reso pubblico un avviso in data 15 giugno 1819 per investire dell’eredità spettantegli un tal Giovanni Filo Sartori, partito fin dall’anno 1796 dal castello di Pruszka nella Contea di Prenchino, e non vi è ancora tornato. In riferimento all’importante fattore annonario, relativo cioè all’approvvigionamento di viveri, poteva capitare che di fronte alla diffusa carenza di cereali, dovuta magari a recenti eventi bellici, l’autorità preposta concedesse l’importazione esente da dazio pel frumento, formentone ed avena che vengono introdotti nel Regno Lombardo Veneto per l’ulteriore periodo a tutto marzo 1854; oppure si rispolverasse la sperimentata ma aleatoria misura (a causa del sempre risorgente mercato nero) d’un calmiere da osservarsi dai Venditori di Pane, Farina Gialla ed Oglio d’Oliva nella Città e Comune di Adria dal giorno 27 Novembre a tutto il giorno 3 Dicembre 1865 (e va notato, qui come in altri documenti, l’uso esagerato delle lettere maiuscole, rivelatrici in chi scriveva di particolari atteggiamenti anche psicologici più o meno avvertiti). Dal foglio a stampa apprendiamo inoltre che il pane poteva essere bianco (di fiore di farina) o traverso e che veniva esibito in bine da quattro pani, mentre l’olio era descritto come Oglio di Oliva di Puglia buono. Spiando nel borsellino della gente comune, le disponibilità finanziarie apparivano quasi insignificanti sia tra la popolazione rurale che nei bassi strati cittadini. Per nutrirsi si è calcolato che i ceti popolari spendevano dal 60 al 65% dei loro miseri salari. Un paio di dati, pur sommari, danno già l’idea di situazioni diversificate ma sempre spinte verso la soglia più deficitaria: cinquanta giornate di un muratore erano compensate con 100 lire austriache, mentre la mercede agricola in Veneto oscillava da una media giornaliera di lire 1,13 per i maschi adulti ai 62 centesimi per le donne e ai 33 centesimi per i fanciulli, tenendo conto che nell’arco di un’annata i giorni lavorativi superavano di poco le duecento unità.

Monselice e le sue mura in una stampa edita a Vienna ( Litografia, metà secolo XIX)

Rileggendo le notificazioni riguardanti i generi daziabili avviati nelle città chiuse, l’aspetto che forse oggi incuriosisce di più è la nomenclatura di contenitori e merci, presentando termini tuttora vitali e altri ormai confinati nei vecchi dizionari. Poiché era importante la differenza tra peso sporco (tara) e peso netto, una dettagliata tipologia indicava la percentuale da dedurre ogni cento libbre del loro peso sporco. Siamo pertanto informati che l’olio d’oliva si smerciava in botti o simili recipienti cerchiati di legno o di ferro; il pesce fresco invece veniva presentato in ceste, cestini, còrbole, corbe con coppola o senza (con aggiunta di ghiaccio o di alghe da settembre a tutto aprile), in retini e sacchi, mentre il pesce marinato era stivato in barili, caratelli, zàngole e simili, sempre con salamoja. La birra viaggiava in recipienti di legno come l’olio e il frumento negli abituali sacchi di tela. Le involture tuttavia potevano essere di canevaccio o tela, di tela cerata, di crini, di pannolano, borra, pelle e stuoja; le “scattole” di stecca e cartone; i cesti di fuscelli o stecchi, con accanto cestini, corbelle, coffe, panieri e sporte, oppure cestoni formati da grossi vimini; le bocce, le àmole e i vasi in genere erano di solo vetro od anche inliscati o vestiti d’altra materia, distinti ulteriormente in bottiglie di vetro grosso, damigiane, fiaschi e fiaschetti; altri contenitori da annoverare erano in fine le “giarre” di terra, fasciate a volte con funi d’erba, oppure i vasi di latta o di stagno. Passando ai generi commestibili, un elenco molto dettagliato compare in un avviso del 1858 perchè in quell’anno ci fu l’attivazione della nuova moneta austiaca (una novità che ci ricorda il problematico discusso avvio del nostro euro), preoccupate le autorità che passando dalle vecchie lire al fiorino non nascesse troppa confusione a causa appunto del ragguaglio legale da Lire 500 a Fiorini 105.

Quattro erano le sezioni degli articoli da commerciare:

vino (nazionale: mezzo vino, posca, aceto e agresto; estero; mosto e uva nazionali ed esteri);

farine, grani e legumi (farina di frumento, abburattata, cipria, volatiglia e gris senza crusca; non abburattata ossia con crusca; farine miste di frumento, tritello, roggiolo e roggiolino; pane e paste con le varie farine suddette oppure con farina di castagna e di miglio pilato; riso, risone e risino; legumi senza tega e fava fresca e secca, intera o franta; legumi con tega e fava con baccelli);

carni e bestie da macello (buoi e manzi, vacche e tori, manzetti e civetti, vitelli maggiori ossia oltre l’anno, vitelli minori ossia sotto l’anno; porci; pecore, capre, castrati, montoni e agnelli maggiori; capretti e agnelli minori, al di sotto cioè del peso di 16 libbre [una libbra grossa = kg 0,486]; carni in genere, testa, cervello, lingue, fegato, cuori, animelle, coratelle, panare o simili parti interiori delle bestie; grascine, lardo e la sugna atta a cibo; salami, presciutti, salsiccia e in genere le lingue e carni salate, affumicate e così pure la galantina, una composta di carni varie e miste con alcune droghe);

articoli diversi ( candele di cera e di spermaceto; candele di sego, grasso bianco o strutto di porco ecc. e candele steariche; pesce fresco d’ogni qualità; noci; butirro; formaggi, stracchini, robbiole) e… tante altre merci, dalla paglia ai legnami, dai mattoni al carbone, destinate a un largo consumo.

A proposito di stipendi, un paio di avvisi che ho avuto tra le mani, emanati sempre dalle Deputazioni all’amministrazione comunale, riguardano i medici condotti, i cui emolumenti variavano a seconda del numero degli abitanti del paese interessato: ad esempio, nel Rodigino per la condotta di Concadirame era previsto un esborso annuo di 460 lire, mentre per quella di Costa lo stipendio saliva a 1.034 lire. La documentazione da allegare alla domanda di concorso prescriveva, fra l’altro, un certificato di sudditanza austriaca, un certificato di buona condotta morale, politica, religiosa, e di lodevole contegno nell’esercizio della professione accanto a fedine di non criminalità, né inquisizione politica. In più vigeva l’obbligo, per contratti triennali o a tempo indeterminato, di curare i poveri (compresi fra questi a senso di legge anche i piccoli possidenti e gli artigiani) e i non poveri ogni qual volta ne verrà richiesto, mediante però quel compenso, che sarà di ragione, e di convenienza. Altrettanto dettagliati gli avvisi e le notificazioni di concorso regolanti l’attività scolastica. L’alfabetizzazione della popolazione, specie maschile, era diventata ormai un aspetto irrinunciabile del progresso che passava pure attraverso il potenziamento degli stimoli culturali. Una nota datata 30 dicembre 1844 dichiarava esenti da bollo gli attestati medici destinati a giustificare l’assenza degli scolari delle Scuole Elementari, servendo alle Autorità dirigenti le dette scuole per uso d’uffizio, ossia perché possano sorvegliare i fanciulli nel debito che loro incombe di frequentare esse Scuole.

Lo stipendio annuo di un maestro oscillava tra le 400 e le 600 lire austriache, e pel concorso il candidato doveva esibire, fra gli altri attestati, il certificato di sudditanza austriaca oltre a quello comprovante il subìto innesto vaccino (contro il vaiolo) con buon esito. La responsabilità di queste scuole rurali era di norma affidata al parroco o al cappellano, cui un bando della Comune di Tregnano, pubblicato il 2 settembre 1848, assicurava quale incentivo il godimento gratuito di un’ampia casa e l’usufrutto dell’annesso brolo a prato con viti e fruttari per la rendita approssimativa di lire 100, oltre lire 150 per l’affitto del locale ad uso della scuola, finché non venisse diversamente disposto. Sovente però a espletare la funzione di insegnante elementare nella maggior parte delle comuni rurali erano chiamati elementi più rozzamente istruiti, «per lo più semplici alfabetizzati di paese, che aggiungevano al mestiere abituale un incerto esercizio dell’arte pedagogica che fruttava appena qualche fiorino in più e che non sarebbe stato da solo bastevole a garantire le condizioni minimali di esistenza» (M.Meriggi).

BREVE CRONOLOGIA

1797, 17 ottobre. Trattato di Campoformio. Il Veneto viene ceduto in parte all’Austria e resterà in suo possesso fino alla Pace di Presburgo (1805, dicembre, 26).
1814, 6 aprile. Napoleone abdica, gli Austriaci occupano Milano e proclamano l’annessione di Lombardia e Veneto all’Impero asburgico. Termina così il “Regno d’Italia”.
1814, 30 maggio. Trattato di Parigi. L’imperatore d’Austria Francesco I si assicura definitivamente le terre italiane di Lombardia e Veneto (1815, aprile, 7).
1831, febbraio. Giuseppe Mazzini (1805-1872), a Marsiglia fonda la “Giovane Italia”, società segreta con un programma unitario e democratico, per cui il rinnovamento e l’indipendenza dell’Italia devono essere opera di insurrezioni popolari.
1848, 5 marzo. Carlo Alberto promulga una Costituzione – lo Statuto Albertino – che costituirà la base della futura Costituzione del Regno d’Italia.
1848, 17 marzo. La notizia delle rivolte viennesi scatena l’insurrezione a Venezia. Daniele Manin (1804-1857) e Niccolò Tommaseo (1802-1874), liberati dal carcere politico, instaurano l’effimera Repubblica di San Marco.
1848,15 giugno. Si firma la Convenzione che sancisce le modalità d’annessione di Lombardia e Veneto al “Regno d’Italia del Nord”.
1849, 9 agosto. Pace di Milano. Amnistia per i cittadini lombardo-veneti esuli in Piemonte.
1849, 24 agosto. Venezia, stremata dalla carestia e dalla fame, si arrende agli Austriaci.
1866, 8 aprile. Alleanza italo-prussiana contro l’Austria e dichiarazione di guerra (giugno, 20).
1866, 3 ottobre. Pace di Vienna. Il Veneto, ceduto dall’Austria a Napoleone III, verrà consegnato all’Italia dall’imperatore francese dopo l’espletamento del Plebiscito (ottobre 20 e 21) oggi fortemente contestato per presunte irregolarità.

Roberto Valandro